STORIE DI BOTTIGLIE, VISIONI DI FUTURO

[08. Lungimirante
È il packaging che si pone in una corretta relazione con il proprio futuro. Il packaging è capace di agire oggi in funzione di possibili ricadute future. Le scelte che determinano l’imballaggio di oggi non possono essere fatte a partire da un vantaggio immediato, ma devono tener conto delle conseguenze che ne derivano.

Da WOBO a Liter of Light, storie di bottiglie che ispirano responsabilità e progettazione futura

Dagli anni ’60 a oggi, una bottiglia può raccontare molto più di un semplice contenuto. La storia di WOBO è una di quelle intuizioni appartenenti al passato, ma capaci di resistere al tempo: un esempio di packaging pensato non solo per contenere, ma per costruire. Una risposta progettuale a bisogni sociali concreti, nata con uno sguardo rivolto al futuro.

Nel 1960, durante un viaggio sull’isola caraibica di Curaçao, Alfred Heineken – imprenditore olandese nipote di Gerard Adriaan Heineken, fondatore del birrificio Heineken – osservò due problemi solo apparentemente lontani: da un lato, la diffusa povertà e la carenza di materiali da costruzione; dall’altro, l’enorme quantità di bottiglie di birra vuote abbandonate ovunque. L’intuizione fu audace: trasformare quelle stesse bottiglie in mattoni. Nacque così nel 1963 il progetto WOBO – World Bottle – sviluppato con il supporto dell’architetto e designer olandese John Habraken, già allora noto per le sue teorie sull’Open Building , un approccio che promuove sistemi flessibili e partecipativi, pensati per essere completati, adattati o trasformati dagli utenti stessi.
L’idea era tanto semplice quanto rivoluzionaria: creare una bottiglia in vetro, dalla forma squadrata e modulare, progettata per essere impilata e riutilizzata, dopo il suo primo uso, nella fabbricazione di strutture abitative. La bottiglia era progettata con incastri specifici, ispirati ai mattoni da costruzione.

 

 

 

In collaborazione con Habraken, Heineken realizzò un primo lotto sperimentale di circa 100.000 bottiglie in due formati: 350 ml e 500 ml. Erano realizzate in vetro verde spesso, con lati piatti per facilitare l’impilaggio e una scanalatura longitudinale per l’incastro. Alcuni prototipi sono oggi considerati pezzi da collezione.
Le bottiglie furono testate in un edificio prototipo costruito nei terreni della famiglia Heineken. Incastrate orizzontalmente con malta cementizia, permettevano di realizzare muri stabili e ben isolati, grazie anche alla robustezza del vetro. Il progetto dimostrava una visione circolare e una concreta attenzione alle esigenze abitative delle comunità più vulnerabili.
Nonostante le sue potenzialità, il progetto non fu mai adottato su larga scala. Le difficoltà logistiche e la riluttanza dell’industria del beverage ad adottare un modello così radicale ne limitarono l’espansione e portarono al suo abbandono. Tuttavia, la bottiglia rimane un simbolo indelebile di ciò che accade quando l’etica sociale incontra l’innovazione del design.

 

 

WOBO era molto più di un contenitore: era un gesto etico di design con una chiara finalità sociale e ambientale. Un antesignano dell’upcycling, pensato decenni prima che termini come “economia circolare” entrassero nel vocabolario comune.

WOBO fu sviluppato da Alfred Heineken dopo aver riconosciuto che, mentre i suoi prodotti raggiungevano i mercati di tutto il mondo, i contenitori venivano abbandonati, generando rifiuti laddove potevano invece risolvere problemi concreti. L’idea di un contenitore che potesse trasformarsi in materiale da costruzione nacque, quindi, come risposta a un’urgenza doppia: la sostenibilità ambientale e l’inclusione sociale. Alcuni esemplari originali della WOBO sono oggi conservati presso la Heineken Collection Foundation ad Amsterdam ed esposti in musei come esempio di buon design e sostenibilità. La sua storia continua a ispirare progettisti e innovatori che cercano nuove strade per coniugare funzionalità, estetica e responsabilità.
Nel 2019, Heineken ha rilanciato il design della bottiglia con il progetto Spirit of Heineken: una limited edition di distillato ottenuto dagli scarti della produzione di birra analcolica, imbottigliato proprio nella WOBO. Un omaggio alla propria storia, ma anche un messaggio sull’attualità del riuso come gesto etico.
La bottiglia di Heineken, pur non avendo trovato applicazione industriale, ha orientato la progettazione verso una nuova direzione: quella del packaging come “infrastruttura sociale”. Un’idea che anche altri progetti, in tempi e contesti diversi, hanno provato a percorrere.

 

Tra le esperienze più emblematiche di questi ultimi anni va ricordato il progetto Liter of Light, nato nel 2011 nelle Filippine grazie alla MyShelter Foundation, creata da Illac Diaz. L’obiettivo era semplice e radicale: fornire una fonte di luce sostenibile, economica e replicabile alle comunità prive di elettricità. L’idea si ispirava a un’intuizione del meccanico brasiliano Alfredo Moser, che nel 2002 aveva ideato una lampada solare fai-da-te: una bottiglia di plastica trasparente riempita con acqua e una piccola quantità di candeggina, installata nel tetto per rifrangere la luce solare all’interno dell’abitazione. Questo sistema, noto anche come Moser Lamp, poteva produrre una luce paragonabile a una lampadina da 40-60 watt durante il giorno, e la candeggina evitava la formazione di alghe.
Liter of Light ha ripreso e potenziato questa soluzione, sviluppando anche una versione evoluta con piccoli pannelli solari, batterie ricaricabili e LED, in grado di funzionare anche di notte. Le installazioni vengono realizzate con materiali locali e il know-how viene trasmesso direttamente alle comunità, creando lavoro e autonomia tecnica. Il progetto è oggi attivo in oltre 30 paesi, ha illuminato centinaia di migliaia di case, e rappresenta un modello di design partecipativo, accessibile e socialmente trasformativo.

 

Proprio come WOBO, anche Liter of Light nasce da un’intuizione: vedere nella bottiglia non solo un contenitore, ma una risposta a un bisogno sociale. Entrambi i progetti mostrano che il packaging può farsi infrastruttura, può costruire senso, luce, rifugio.

Oggi, mentre parliamo di “upcycling”, “design rigenerativo” e “packaging circolare”, esperienze come WOBO e Liter of Light costituiscono un patrimonio culturale e progettuale che possiamo rileggere con occhi nuovi. In un mondo attraversato da crisi ambientali e sociali, l’ispirazione può venire proprio da quelle idee radicali che, ieri come oggi, cercano nuove forme di responsabilità. Ciò che accomuna questi esempi è una domanda aperta: cosa può contenere davvero una bottiglia? Un liquido, certo. Ma anche una visione, una responsabilità, un’idea di futuro.
WOBO, in particolare, ci ricorda che il packaging può essere molto più di una risposta tecnica: può diventare uno strumento di trasformazione sociale, progettato per offrire risposte concrete e generare valore negli spazi della vita quotidiana. È questo che lo rende un progetto radicale nella sua semplicità: una bottiglia concepita per contenere, ma soprattutto per costruire.
In questo senso, WOBO incarna in modo pionieristico una chiara idea di purpose (dall’inglese, proposito): dare forma a un impatto sociale positivo, attivare valore condiviso, contribuire a migliorare la vita delle persone e la qualità dell’ambiente in cui vivono.

 

 

Parlare oggi di purpose non significa inseguire slogan, ma tornare a interrogarsi sul “perché” delle nostre scelte progettuali, sulla direzione verso cui orientiamo creatività, risorse e tecnologia. È una riflessione che riguarda ogni fase del processo e coinvolge chi progetta, chi produce, chi comunica. Non è più solo una questione di cosa funziona, ma di cosa vale la pena costruire. Questa visione è sempre più centrale anche nelle politiche aziendali e nelle strategie di sostenibilità, come indicato da organizzazioni come il World Economic Forum , che sottolineano come il concetto di valore debba superare i confini del profitto per includere benessere sociale, ambientale e culturale.
Nel dibattito sul packaging e sulla sostenibilità, è fondamentale recuperare questa dimensione. Non basta innovare: serve orientare l’innovazione, trasformarla in responsabilità. Etica e progettazione devono dialogare. Chi opera oggi nel settore dell’imballaggio – designer, brand, produttori, distributori – ha la possibilità (e il dovere) di rimettere al centro questa domanda: che ruolo può avere il packaging nella costruzione di un mondo più equo, più inclusivo, più umano?

 

 

 

WOBO non è soltanto una testimonianza del passato. È una traccia, una possibilità, un’ispirazione ancora attuale per chi crede che il packaging possa contribuire – davvero – a costruire un futuro più responsabile e condiviso.

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