[01. Responsabilità
È il packaging quando diventa responsabilità di tutti verso tutti: nella progettazione, nella produzione e nell’utilizzo.
Responsabili sono gli imballaggi portatori di qualità, che coniugano tutela dell’ambiente e rispetto delle esigenze di tutti gli utenti.
Ripensare il packaging in tempi di crisi: implicazioni etiche e approccio sistemico nella progettazione degli imballaggi
Le crisi contemporanee, nelle loro molteplici manifestazioni, mettono in discussione gli attuali paradigmi e ci costringono a riflettere sugli attuali modelli di produzione e consumo e, più in generale, sui nostri stili di vita. In questo scenario, chi produce, progetta e utilizza imballaggi è chiamato a ripensare il packaging, considerando le implicazioni etiche e adottando un approccio sistemico alla progettazione, per permettere una comprensione più profonda ed equilibrata degli impatti – positivi e negativi – degli imballaggi sulla società e sull’ambiente, e generare così percorsi di innovazione responsabile per il settore.
Il termine crisi deriva dal greco “krísis” che significa “decisione” e dal verbo “kríno” che significa “decido, separo, giudico”. Designa il momento in cui si verifica una rottura, un cambiamento molto marcato in qualcosa o in una situazione: in una malattia, nella natura, nella vita di una persona o di una comunità. Come ci ricorda Ramon Alcoberro, la parola crisi ha un’origine agraria, legata alla raccolta del grano: per un greco antico, crisi è il processo che avviene quando il grano viene separato dalla pula. Si tratta di una separazione analitica per conservare solo la parte buona o utilizzabile del raccolto.
La crisi, dunque, pur costituendo una situazione di grave difficoltà, non ha necessariamente un’accezione negativa: la crisi è un’opportunità per generare cambiamento, trasformazione, perché è il momento in cui bisogna prendere una decisione, optare per una strada e rinunciare a un’altra. Questa decisione deve essere presa in modo prudente, tenendo conto delle conseguenze di ogni alternativa. Per questo è necessario scegliere criticamente (da “kritikós”, “capace di discernimento”) e con criterio, altra parola greca che compare in questo contesto (“kriterion”, con il significato di “tribunale di giustizia”).
Le crisi contemporanee – di tipo ambientale, ma anche sociale ed economico – mettono ancora una volta in discussione gli attuali sistemi di produzione e consumo, con particolare attenzione alla gestione dei rifiuti e agli impatti degli imballaggi, soprattutto di quelli in plastica. Una parte importante dell’opinione pubblica, infatti, considera ancora il packaging una delle principali cause dell’inquinamento globale, l’impronta visibile dell’attività umana, il simbolo dell’effimero e del superfluo, l’espressione tangibile degli eccessi dei modelli attuali.
La controversia suscitata dagli imballaggi, tuttavia, richiede una riflessione profonda, senza cadere in facili slogan e messaggi demagogici, come troppo spesso accade in certe campagne #plasticfree o #nopackaging. È necessario, in primo luogo, adottare una prospettiva critica, cioè “separare analiticamente ciò che è buono da ciò che è cattivo” e, per riprendere la metafora agraria, conservare “la parte buona o utilizzabile del raccolto”; in secondo luogo, un approccio sistemico, bilanciando le molteplici funzioni del packaging con le sue responsabilità etiche rispetto a mercato, società e ambiente.
Il packaging è una protesi, è un’estensione artificiale che costituisce per il prodotto un “plus” di prestazioni, servizio e identità. L’imballaggio serve a proteggere, conservare e mantenere in buono stato i beni di consumo durante il trasporto, la manipolazione, lo stoccaggio, la distribuzione e anche durante la vendita (plus di prestazioni); garantisce che una persona possa accedere al suo contenuto e interagire con esso, e fruire delle informazioni in etichetta, come avvertenze e istruzioni per l’uso (plus di servizio); amplifica l’identità di marca per assicurarne la riconoscibilità e “memorabilità” in contesti di vendita sempre più saturi (plus di identità).
Nella quotidianità, l’imballaggio favorisce lo svolgimento di attività basilari come alimentarsi, prendersi cura della propria persona, dei propri cari o dei propri animali, nei diversi contesti in cui si opera: a casa, al lavoro, in mobilità. In situazioni più “estreme” – nel contesto, per esempio, di disastri naturali, guerre o emergenze sanitarie – il packaging costituisce uno strumento fondamentale per garantire la distribuzione di risorse essenziali come acqua, cibo e medicinali, e aiuta a prevenire la diffusione di malattie.
Per le molteplici funzioni che svolge nello scenario contemporaneo, l’imballaggio è dunque imprescindibile. Eppure, la sua natura transitoria e di breve durata, la sua ampia diffusione nella vita quotidiana delle persone, con un impatto significativo sulla società e sull’ambiente, non smettono di generare controversie.
Di fronte alle immagini strazianti di animali marini morti a causa dei rifiuti di imballaggio che galleggiano sulla superficie dell’oceano, sembra legittimo chiedersi se la rimozione dal mercato degli imballaggi, e in particolare di quelli in plastica, possa risolvere o almeno attenuare la grave emergenza ambientale in cui ci troviamo. Tuttavia, per quanto retoricamente convincente, il messaggio secondo cui l’eliminazione del packaging può salvare il pianeta non costituisce, in realtà, una soluzione alle crisi globali.
Anche se gli effetti sull’ambiente il settore degli imballaggi sono forse i più visibili (ciò che galleggia sulla superficie degli oceani è infatti più facilmente percepibile e quindi oggetto di giudizio dell’opinione pubblica), non è però necessariamente quello che inquina di più. Altri settori hanno impatti meno evidenti, ma non per questo meno dannosi. L’industria della moda, per esempio, e il cosiddetto “Fast Fashion” hanno ripercussioni rilevanti sul benessere dell’ambiente e degli esseri viventi (rifiuti chimici, microplastiche, ecc.), oltre che delle persone (basti pensare alle precarie condizioni di lavoro e allo sfruttamento della manodopera nei paesi in via di sviluppo, per citare uno dei fenomeni ancora oggi fortemente criticati).
Se si considera, poi, la sostanziale riduzione dell’inquinamento atmosferico nel 2020 nelle aree che erano in lockdown per contenere la diffusione della pandemia Covid-19, insieme al crescente aumento di mascherine gettate per strada (e che finiscono anch’esse nell’oceano), si conferma ancora una volta che il problema dei rifiuti, dei cambiamenti climatici o delle ingiustizie sociali non è responsabilità di oggetti inanimati come gli imballaggi. Le crisi sono state e sono tuttora una responsabilità umana: dipendono dalle scelte che noi, come individui e collettività, facciamo in merito alla sopravvivenza del pianeta, e se siamo disposti a cambiare i nostri comportamenti e le nostre abitudini di vita.
È necessario quindi riportare al centro della riflessione la nozione di responsabilità etica introdotta dal politologo Max Weber (1919) e successivamente adottata da Hans Jonas (1979) come base per la definizione del cosiddetto sviluppo sostenibile. La parola etica deriva etimologicamente dal termine greco “ethos”, che significa “comportamento”, la parola responsabilità deriva dal latino “respondeo” e ha la stessa origine del verbo “rispondere”. L’etica della responsabilità potrebbe quindi essere definita come “un comportamento capace di rispondere a qualcuno o a qualcosa”. In altre parole, agire con responsabilità etica implica considerare gli effetti e le conseguenze delle nostre azioni, ed è proprio anticipando tali effetti e conseguenze che si devono prendere le decisioni.
Se questo concetto viene applicato al settore degli imballaggi, per affrontare le crisi attuali è necessario adottare criteri etici lungo tutto il ciclo di vita di un prodotto e tenere conto, da un lato, degli impatti specifici di ogni fase del processo e, dall’altro, della corresponsabilità di tutti gli attori della filiera: produttori e trasformatori, aziende utilizzatrici, istituzioni, associazioni e consorzi, oltre anche agli utenti finali che svolgono un ruolo decisivo nelle fasi di acquisto, consumo e post-consumo. Un packaging deve essere quindi inteso come il risultato di un insieme integrato di scelte operate da una pluralità di soggetti che svolgono ciascuno un ruolo – diretto o indiretto – nella sua definizione.
Inoltre, per l’elevata complessità che lo caratterizza, il progetto di un imballaggio richiede l’intervento di diverse competenze e la partecipazione di più aree disciplinari, implicando l’adozione di un approccio sistemico. In questo contesto, il Design svolge un ruolo rilevante di regia, mediazione e sintesi progettuale: ideare un packaging significa dare forma a una soluzione che è il luogo di convergenza, da una parte, delle prospettive, esigenze e scelte espresse dalle diverse parti coinvolte; dall’altra, delle molteplici funzioni dell’artefatto, riferite alla dimensione comunicativa così come a quella più strettamente prestazionale e operativa.
L’adozione di un approccio etico e sistemico, oltre a consentire una lettura più consapevole ed equilibrata degli impatti – positivi e negativi – degli imballaggi sulla società e sull’ambiente, può generare nuovi percorsi di innovazione per il settore del packaging. Innovazione che nella maggior parte dei casi si è limitata finora a interventi volti a migliorare l’esperienza del consumatore o a garantire una migliore protezione e conservazione dei prodotti grazie all’evoluzione tecnologica.
Progettare o riprogettare il packaging in tempi di crisi, e in vista di un futuro più sostenibile, significa quindi mettere in discussione modelli consolidati, e proporre soluzioni che abbiano un impatto positivo sulle persone e sul pianeta, secondo una prospettiva di innovazione etica, orientata al benessere e alla qualità della vita (approccio “life-centered”).
La riflessione alla base di questo articolo e i temi in esso trattati sono stati presentati durante l’incontro “The Good Packaging: implicazioni etiche e approccio sistemico nella progettazione degli imballaggi”, tenuto il 6 giugno 2022 presso lo Spazio Cosimo10, come parte degli eventi organizzati da Istituto Italiano Imballaggio e Fondazione Carta Etica del Packaging in occasione del Fuorisalone 2022 a Milano.
Per maggiori informazioni sul progetto “The Good Packaging”: https://linktr.ee/thegoodpackaging