LA STORIA DI HUMAN MART

[09. Educativo
È il packaging che, in quanto oggetto diffuso, sa farsi carico della propria funzione educativa

Human Mart: il supermercato che “vende esseri umani” per sensibilizzare alla schiavitù contemporanea

L’agenzia creativa Cocogun e il collettivo artistico The Glue Society hanno collaborato con l’organizzazione no-profit Anti-Slavery Australia della University of Technology Sydney (UTS) per creare Human Mart, il primo supermercato al mondo che “vende esseri umani”. Potrebbe sembrare il soggetto di un’opera del teatro dell’assurdo o la distopia di un romanzo di fantascienza, eppure a Sidney nel mese di marzo 2021 è stato aperto realmente un temporary store con questa peculiarità.

Human Mart è una campagna di marketing guerriglia che utilizza il packaging come mezzo di comunicazione non convenzionale, una provocazione per sensibilizzare l’opinione pubblica alle condizioni di schiavitù in cui si trovano circa 15000 persone in Australia. Questo progetto, in questo senso, si pone in continuità con altre iniziative “storiche” di pubblica utilità, di cui l’esempio forse più noto è la campagna lanciata all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso negli Stati Uniti, dove sono state utilizzate le confezioni del latte per diffondere i volti dei cosiddetti “missing” e sostenere la ricerca di persone scomparse, in particolare bambini.

Certamente, parlare oggi di schiavitù può forse sorprenderci, pensando appartenga al passato, come un’eco lontana del colonialismo e dell’imperialismo dei secoli scorsi, o sia presente in qualche paese in via di sviluppo, distante da noi e dalla nostra quotidianità. Non è così, purtroppo. La schiavitù è un fenomeno tuttora attuale, molto più vicino a noi di quel che si pensi, presente nei paesi considerati sviluppati e, in alcuni casi, potenze mondiali.

Per dare visibilità a tale fenomeno e mostrare il modo in cui le vittime della schiavitù contemporanea sono comprate e vendute, Anti-Slavery Australia ha creato un punto vendita fittizio dove sono esposti 70 prodotti che rappresentano casi di persone reali che si trovano in condizioni di asservimento materiale o psicologico, private dei propri diritti e della propria libertà di decisione e azione.

La schiavitù non consiste, infatti, solamente nella tratta di esseri umani o nelle forme più esplicite di sfruttamento, come la prostituzione o il lavoro forzato di adulti e minori. Coinvolge effettivamente qualsiasi persona che, a causa di coercizione, minaccia o inganno, è obbligata a vivere situazioni abusive e violente, come per esempio un matrimonio forzato, la servitù lavorativa, il caporalato o l’usura.

A prima vista, Human Mart sembra un negozio come qualsiasi altro. Ma a un esame più attento, ci si rende presto conto che i prodotti esposti nel punto vendita contengono in realtà le storie delle diverse vittime della schiavitù contemporanea.

Coloratissime e vistose lattine, bottiglie e scatole sono utilizzate per “confezionare” esseri umani e metterli in vendita come se fossero generi alimentari. Ogni articolo in vendita, i cui ricavi sono destinati alla raccolta fondi di Anti-Slavery Australia, rappresenta un caso reale, racconta la storia di una vittima, come potente metafora della mercificazione della vita delle persone in condizioni di schiavitù.

Presso Human Mart è possibile trovare diverse tipologie di “prodotto”, tra cui:

  • Elliot, la cui descrizione sulla confezione dichiara “Made to sleep in a space so small he couldn’t lie down” (costretto a dormire in uno spazio così piccolo da non potersi sdraiare);
  • Osman, “Forced to work from 5am to 10 pm by his on-laws” (costretto dai suoi suoceri a lavorare dalle 5 del mattino alle 10 di sera);
  • Sajida, “Escaped after eight years as a domestic servant” (scappata dopo otto anni come domestica);
  • Jamilah, “Escaped a marriage against her wishes” (fuggita da un matrimonio contro la sua volontà);
  • Melati, “Brought here at 18 to work as a slave” (portata qui a 18 anni per lavorare come schiava).

La campagna Human Mart doveva essere lanciata nel 2020, ma fu ritardata a causa della pandemia di Covid-19 e fu attivata finalmente a inizio del 2021. Il punto vendita fisico è rimasto aperto dal 16 al 25 marzo 2021 come temporary store a Darlinghurst, un quartiere del settore orientale di Sydney. Sulla pagina web del progetto è possibile tuttora effettuare donazioni.

Non soltanto scocca o involucro di un contenuto per conservarlo, proteggerlo, trasportarlo ecc., o interfaccia tra consumatore e prodotto per facilitarne l’uso e il consumo, il packaging funziona in questo progetto come mass-medium, si trasforma in un canale di comunicazione non-convenzionale.

L’imballaggio si “risemantizza”, si presta cioè a un’operazione di “risignificazione”. Si cambia il contenuto tangibile del packaging per uno intangibile, che è la storia – e la vita – di una vittima della schiavitù. Si mantengono i codici espressivi dei prodotti di largo consumo (strutture, forme, colori ed elementi grafici), però se ne cambia il significato, proprio come avviene nel linguaggio, per esempio nella poesia.

Secondo le logiche del marketing guerriglia e delle altre forme di comunicazione “below the line”, la diffusione di un messaggio di sensibilizzazione (denuncia della schiavitù contemporanea) avviene dunque attraverso un supporto inusuale (confezione di un prodotto di consumo), in un contesto (punto vendita) e in un momento inaspettati (passeggiando per la città).

A differenza delle tipiche campagne di pubblica utilità, veicolate attraverso la televisione, i quotidiani o altri canali più tradizionali, interventi di “messa in scena” come Human Mart colgono di sorpresa il destinatario e ne stimolano l’interesse e la curiosità, riuscendo così a inviare il messaggio di coscientizzazione in una forma più diretta ed efficace.

Attraverso una lettura critica della dimensione comunicativa del packaging è possibile dunque individuare spazi di sperimentazione e sviluppare soluzioni progettuali che, attraverso idonee forme espressive e di linguaggio, rispondano efficacemente alla necessità di sensibilizzare la collettività anche ai temi più difficili da trattare, valorizzando la funzione massmediatica e il potenziale educativo dell’imballaggio.