[07. Contemporaneo
È il packaging che sa essere in costante relazione con la società della quale rappresenta i valori. Gli imballaggi riflettono la cultura della società e contribuiscono a loro volta a crearla. Lo fanno attraverso i messaggi, che passano dalle loro forme, dalle loro grafiche, dai loro simboli: così trasferiscono modelli, partecipando all’evoluzione della contemporaneità.
Da Aunt Jemima a Uncle Ben’s: quando il packaging si rende responsabile di eliminare stereotipi e pregiudizi
Oltre alla pandemia di Covid-19, uno dei fatti di cronaca che più hanno marcato il corso del 2020 è stato senza dubbio la morte di George Floyd, in seguito al suo arresto da parte della polizia di Minneapolis (Stati Uniti).
Il filmato in cui uno degli agenti mantiene per diversi minuti il ginocchio sul collo dell’uomo afroamericano per immobilizzarlo – nonostante la disperata supplica di essere liberato per mancanza di ossigeno (“I can’t breath…”, continuava a ripetere, “non posso respirare…”) – ebbe ampia diffusione in diversi media nazionali e internazionali e scatenò manifestazioni di protesta in diversi paesi del mondo contro l’abuso di potere e i comportamenti razzisti della polizia.
La morte di Floyd portò nuovamente all’attenzione dell’opinione pubblica il movimento attivista “Black Lives Matter” (letteralmente “le vite dei neri contano”), originato all’interno della comunità afroamericana e impegnato nella lotta contro il razzismo, perpetuato a livello sociopolitico, verso le persone nere negli Stati Uniti.
Inoltre, provocò un importante processo di revisione di tutti quegli elementi simbolici presenti nella società statunitense – dalle squadre di football americano ai prodotti alimentari venduti nei supermercati – che potessero esprimere stereotipi razziali o forme di appropriazione culturale nei confronti di gruppi minoritari come quello afroamericano. In alcuni casi, le modifiche erano già in fase di studio prima dello scoppio delle proteste, tuttavia gli eventi occorsi durante il 2020 hanno contribuito ad accelerare fortemente il cambiamento.
Tra le marche presenti sul mercato statunitense, che nell’ultimo anno sono state oggetto di revisione per eliminare stereotipi razzisti, Aunt Jemima è forse una delle più emblematiche.
Aunt Jemima è una linea di prodotti alimentari per la colazione, conosciuta in particolare per il suo sciroppo e la miscela per pancake, quest’ultima ideata nel 1889 dalla Pearl Milling Company e venduta come il primo “ready-mix” per la preparazione di questo tipo di frittelle tipiche dell’America settentrionale. Fu nel 1890 quando Davis Milling decise di assumere una donna nera per rappresentare la “zia Jemima” come testimonial nella pubblicità e sulle confezioni del mix per pancake.
Nancy Green, donna afroamericana nata in schiavitù all’inizio del XIX secolo, fu introdotta per la prima volta come Aunt Jemima nel 1893 durante una fiera a Chicago, dove mostrava la preparazione dei pancake: il successo di quella prima apparizione fu tale che marcò non solo il successo del prodotto, ma anche la fortunata carriera di Green che interpretò il personaggio pubblicitario fino alla sua morte, nel 1923, all’età di 89 anni. Nancy Greene fu la prima modella afroamericana a lavorare in ambito pubblicitario e grazie all’indipendenza economica ottenuta grazie ad Aunt Jemima, si dedicò come attivista alla lotta contro la povertà.
La costruzione del personaggio di Aunt Jemima si basa sulla figura della “Mammy”, una donna di taglia grande, dalla pelle scura e con una personalità materna e premurosa. Si tratta, in realtà, di uno stereotipo radicato nella storia della schiavitù statunitense, nello specifico degli stati del sud, in cui le donne nere erano vendute a famiglie di schiavisti bianchi per dedicarsi al lavoro domestico e alla cura dei bambini.
Questa caricatura della “Mammy”, oltre che dalla pubblicità, venne utilizzata anche dal cinema e dalla televisione (basti pensare al personaggio della governante di Tom & Jerry, che negli anni ‘40 e ’50 era rappresentata con pelle scura e accento afroamericano) e contribuì a costruire l’immagine falsata della donna afroamericana felice e realizzata in un ruolo di servitù in ambito domestico.
Nonostante le modifiche realizzate nel corso dei decenni e il restyling che ha portato alla fine degli anni ’80 a sostituire l’immagine della Mammy con quella di una donna nera senza fazzoletto sui capelli e con orecchini di perle alle orecchie, alludendo a una casalinga di condizione sociale più elevata, il personaggio di Aunt Jemima ha continuato a provocare forti critiche negli Stati Uniti, accusata di essere una rappresentazione simbolica della donna afroamericana sfruttata.
Per questa ragione, PepsiCo. – gruppo di cui fa parte attualmente l’azienda Quaker Oats Company, proprietaria dal 1925 della marca Aunt Jemima – nel giugno 2020 annunciò che la linea di prodotti sarebbe stata ribattezzata come Pearl Milling Company. Dopo un anno, dal mese di giugno 2021, le confezioni non mostreranno più il nome e l’immagine della zia Jemima, lasciando il posto al nome degli ideatori e primi proprietari della miscela per pancake.
Il cambio di nome della linea di prodotti assume una rilevanza ancora maggiore se si considera poi che il personaggio di Aunt Jemima sembrerebbe aver preso il nome da una canzone di un Minstrel Show, una forma di spettacolo comico che ebbe origine intorno al 1830-1840 e che consisteva in una combinazione di sketch comici, varietà, danze e musica, interpretati da attori dipinta di nero, cioè in “blackface”. I Minstrel Shows rappresentavano gli afroamericani in maniera stereotipata e quasi sempre offensiva: in questi spettacoli erano mostrati come ignoranti, pigri e superstiziosi; inoltre, veniva accentuato in maniera grottesca e caricaturale il loro amore per la musica.
Come Aunt Jemima, anche il riso Uncle Ben’s ha cambiato nome ed eliminato il personaggio dello “zio Ben”, per evitare di contribuire a perpetuare stereotipi razziali. Titoli come “Aunt” (zia) e “Uncle” (zio) erano, infatti, usati negli stati del sud per riferirsi agli afroamericani, invece del più formale e rispettoso “Miss” o “Mister”.
Uncle Ben’ è così diventato Ben’s Original e ha rimosso dalle proprie confezioni la rappresentazione dell’uomo afroamericano sorridente e dai capelli grigio-bianchi, a volte raffigurato con un papillon, che secondo alcuni critici evocava la servitù.
Oltre a Aunt Jemima e Uncle Ben’s, sono diversi i prodotti che sono stati accusati di aver contribuito a costruire un immaginario fortemente falsato delle persone di colore: dal packaging di Cream of Wheat da cui è stato eliminato il personaggio del cuoco nero diffusamente conosciuto come Rastus e presente da 120 anni sui cereali del gruppo B&G Foods, alla bottiglia di Mrs. Butterworth’s, che in base alle dichiarazioni di Conagra Brands riprodurrebbe il profilo di una nonna premurosa, ma che in realtà secondo alcuni sembrerebbe richiamare nuovamente la figura di una “Mammy”.
Altri esempi interessanti, riferiti alla rappresentazione stereotipata non di afroamericani ma bensì di nativi nordamericani, sono Land O’Lakes ed Eskimo Pie. Il personaggio popolarmente conosciuto come Mia, la donna raffigurata dal 1928 sulle confezioni di burro Land O’Lakes, fu rimosso nel 2020 prima ancora delle proteste per la morte di Floyd. Analogamente, dalla confezione di Eskimo Pie, la prima barretta di gelato ricoperta di cioccolato venduta negli Stati Uniti e brevettata nel 1922, è stata eliminata nel 2021 la rappresentazione in stile cartoon del ragazzo “eschimese” con un parka foderato di pelliccia; inoltre, è stato cambiato il nome del prodotto in Edy’s Pie, dal nome del fabbricante di caramelle Joseph Edy, cofondatore della Dreyer’s Grand Ice Cream, giacché la parola “eskimo”, comunemente usata in Alaska per riferirsi agli Inuit e agli Yupik, significa “mangiatore di carne cruda” ed è, in realtà, considerata denigratoria.
La lista si potrebbe ampliare ulteriormente e includere i prodotti non solo presenti a livello locale sul mercato statunitense, ma anche a livello globale. Inoltre, la riflessione si potrebbe estendere anche ad altri tipi di stereotipi, come per esempio quelli di genere, che attraverso la pubblicità e gli imballaggi spesso contribuiscono a perpetuare l’oggettivazione del corpo femminile o la riduzione dei ruoli familiari a quelli binari, e opposti, di “padre/capo di famiglia” e “madre/angelo del focolare”, per citare solo alcuni dei fenomeni riscontrabili.
Il packaging si è trasformato, nello scenario attuale del consumo, in un vero e proprio mass-medium, che contribuisce a trasmettere messaggi di diverso tipo e con diverse finalità, non necessariamente riferiti al contenitore o al suo contenuto.
È ormai chiaro che il “discorso comunicativo” che si articola sulla superficie delle confezioni non si limita a sedurre all’acquisto o informare i consumatori, ma esprime significati simbolici che vanno al di là della marca e del prodotto, e può arrivare a orientare i comportamenti delle persone e modificare il loro modo di interpretare la realtà.
In questo senso, risulta chiave rafforzare la dimensione etica dell’imballaggio, che oltre alla sua funzione commerciale, sta assumendo sempre di più un ruolo sociale, con la responsabilità di comunicare senza stereotipi e discriminazioni, in coerenza con i valori della contemporaneità.