[La parola a… Massimo Cutolo, CEO di Garda Plast SpA
Una finestra sul futuro
di
Garda Plast
“Siamo produttori di preforme di PET utilizzate per il soffiaggio di bottiglie per acqua minerale e soft drink, latte nonché di flaconi per la detergenza.
Garda Plast realizza, quindi, un semilavorato monomateriale, nel rispetto degli standard alimentari imposti dalla BRC Pack5, che può essere personalizzato, in base alle esigenze dei clienti, in termini di forma e colore. Siamo quindi parte di una filiera che può vantare in Italia un sistema consortile di recupero e di riciclo efficiente.
Da quando l’azienda è nata, nel 1996, lavoriamo 24 ore su 24, sette giorni alla settimana, e questo ci ha permesso di crescere sempre più in termini di spazio, tecnologie e mercato fino a essere notati e acquisiti da Progressio Sgr, Fondo di Investimento noto per investire in eccellenze italiane.
Il nostro Sistema di gestione integrato della qualità copre ogni ambito del business: ambiente, sicurezza alimentare e legalità.
E poi, crediamo con convinzione nel valore della responsabilità sociale e ci siamo affidati a EcoVadis® per monitorare e migliorare le nostre pratiche ambientali e sociali.
Fare impresa nel “modo giusto”
Fatto salvo l’obiettivo di generare profitto connaturato a qualsiasi attività industriale, siamo infatti convinti che il senso del nostro impegno sia quello di lavorare bene, mettendo al centro le persone, collaboratori o clienti che siano.
In altri termini, per noi è fondamentale che l’azienda assolva a una funzione sociale, producendo ricchezza per poi cercare di ridistribuirla in qualche modo a tutti i portatori di interesse.
Abbiamo fatto così la scelta di fondo di tutelare innanzitutto le persone che ci sono più vicine, i nostri dipendenti.
Imparare dall’esperienza
Noi operiamo in due stabilimenti, uno in provincia di Brescia e uno in provincia di Udine. Quando è scoppiato la prima ondata del Covid, i lavoratori erano comprensibilmente spaventati, ma non potevamo fermarci perché i nostri clienti dovevano continuare a produrre beni di prima necessità. Abbiamo allora cercato di offrire a tutti i dipendenti ragioni di tranquillità, lasciandoli liberi di decidere se venire o meno a lavorare, sottoscrivendo inoltre una polizza assicurativa sanitaria ad hoc, che per fortuna non è stata utilizzata. Abbiamo cercato di penderci cura di loro, condividendo timori e paure.
E poi, mentre il governo parlava del “bonus baby sitter”, noi due mesi prima lo abbiamo erogato volontariamente sia a donne che uomini con bambini. E questo perché siamo un’azienda che intende “tenere aperte le finestre sul mondo”.
Inoltre, durante il lungo periodo emergenziale, abbiamo, come altri, sperimentato lo smart working, scoprendo che poteva rappresentare un vantaggio per i lavoratori e per l’azienda. Tutto il personale non impegnato in produzione (una pressa ad iniezione non è possibile metterla nel giardino di casa!) ha così potuto lavorare da remoto. Col tempo, poi, solo dando per primi il buon esempio, siamo tornati lavorare in presenza e così, senza forzature, gli uffici si sono pian piano ripopolati.
Oggi, a distanza di 3 anni, abbiamo confermato un giorno alla settimana di lavoro da remoto, che aiuta dare maggiore serenità alle persone.
Insomma, non siamo più legati al fatto che se i collaboratori non sono in ufficio questo significa che non stiano lavorando.
Non per obbligo ma per scelta
L’imballaggio, e in particolare quello di plastica, è da tempo sotto accusa ed è additato di sovente come una delle principali fonti di rifiuti.
Questa narrazione, oltre a non essere vera, dati alla mano, disconosce le molteplici e insostituibili funzioni del packaging che garantiscono la nostra way of life e la crescita dei consumi in ampie aree del pianeta.
Tra l’altro, l’imballaggio assolve a una funzione sociale, avvicinando i mercati permettendo così la crescita delle attività produttive, nonché la creazione di ricchezza e di occupazione.
E poi protegge le merci, ne consente il consumo differito nel tempo, parla al consumatore, tutelando in questo modo l’igienicità dei prodotti e riducendo gli sprechi.
Per queste e molte altre ragioni, siamo convinti che anche l’imballaggio di plastica, nella sua accezione più generale, sia una risorsa, un’opportunità, come, nostro malgrado, pandemia e guerra hanno dimostrato.
Va da sé che questo mezzo cambia nel tempo in funzione del mutare delle esigenze del mercato. Così, se in passato il focus era sull’ottimizzazione della shelf life dei prodotti, oggi è tutto sulla semplificazione e riduzione dei materiali utilizzati, ovviamente a parità di prestazioni.
Volumi e buonsenso
La sfida è quindi fare business in maniera più responsabile, cioè pensando a tutti gli aspetti che impattano sull’attività. Il nostro pianeta è un ecosistema chiuso, in cui non è ipotizzabile un consumo illimitato delle risorse.
Con tutta probabilità, dovremmo iniziare a ragionare sul fatto che fare impresa non coincida necessariamente con l’incremento frenetico di capacità produttiva, com’è uso.
Bisognerebbe dismettere gli impianti non più efficienti sotto l’aspetto energetico, cosa più facile a dirsi che a farsi, puntando più sulla qualità che sulla quantità, rinunciando a pensare che il mercato sia una prateria sconfinata dove poter scorrazzare.
Insomma sarebbe necessario cambiare prospettiva se vogliamo salvare l’ambiente.
Certo, di passi avanti in termini di sostenibilità ne sono stati comunque fatti tanti.
Vivere il prodotto per quello che è
Una volta chi produceva preforme soffiava anche le bottiglie per poi consegnarle agli utilizzatori: in un automezzo potevamo stipare circa 50.000 pezzi, in altri termini “spostavamo aria”.
Ora i produttori di acqua minerale e bevande provvedono in proprio a realizzare le bottiglie con le preforme che forniamo loro: in un articolato, possiamo caricare più di 1 milione di pezzi, con un drastico risparmio in fatto di emissioni.
Poi vogliamo parlare degli spessori? Una bottiglia monouso da mezzo litro pesa oggi 10 grammi, circa il 25% in meno di 7-8 anni fa.
Guardando agli sviluppi futuri di questo prodotto, non ritengo ci sia la possibilità di significativi ulteriori risparmi in termini di utilizzo di materiali.
Si continuerà a limare per togliere peso, ma non c’è da aspettarsi miracoli.
Dobbiamo piuttosto concentraci sul fine vita del nostro prodotto, dobbiamo cercare di chiudere il cerchio e passare dall’attuale sistema di recupero e riciclo dei contenitori di PET, in cui il materiale viene destinato ad altri impieghi, a un sistema circolare in cui una bottiglia torna a essere una bottiglia.
D’altronde, fino al 2019, nei contenitori a contatto con gli alimenti non si poteva utilizzare materiale riciclato in percentuali superiori al 50%, mentre oggi è consentito utilizzare 100% rPET food grade proveniente da circuiti controllati.
Il colore dell’ambiente
Garda Plast è, attualmente, tra i principali utilizzatori di materiale riciclato perché lavorando anche per il settore detergenza abbiamo avuto modo di avviare da tempo queste produzioni, di fare esperienza in anticipo, mettendo a punto i processi di produzione e controllo.
Noi siamo pronti: sta ora al cliente che può decidere quanto mettercene, considerando che il riciclato in questo momento costa il doppio di un PET vergine. Un’assurdità!
A proposito di riciclo non sono irrilevanti altri aspetti, tra cui la diversa colorazione dei contenitori.
L’arancio non viene utilizzato per fare nuove bottiglie in quanto non è disponibile in lotti economici, diversamente dal verde e dal blu/azzurro.
I nostri clienti sono perfettamente informati di questa situazione, ma i cambiamenti sono frenati da ragioni di marketing, che attribuiscono al colore un valore strategico.
Abbiamo, comunque esempi, in altri paesi, dove grandi brand sono passati a bottiglie Clear: un segnale incoraggiante, che potrebbe anticipare un intervento da parte del legislatore.
In verità, ho ormai smesso di preoccuparmi perché sono convinto che, alla fine, la soluzione più ragionevole e razionale avrà sempre la meglio».