IL MASSIMO CON IL MINIMO

[La parola a… Riccardo Cavanna, presidente Cavanna SpA

Il massimo con il minimo

di

Cavanna

«In ogni tempo, il packaging è sempre stato di per sé sostenibile. È un’evidenza “nascosta”, da cui è necessario partire se si vuole disegnare per questo insostituibile mezzo un futuro in linea con le attese dei consumatori.
Noi di Cavanna ne abbiamo avuto la prova quando, in occasione del sessantesimo anno di attività, abbiamo capito che la nostra storia – che volevamo commemorare con un protomuseo e altre iniziative mirate a illustrare la nostra identità culturale – assumeva un valore più chiaro guardando all’evoluzione di una specifica tipologia di imballaggio flessibile: il flowpack. Essenziale, leggero, svolge in modo ottimale il compito di proteggere il prodotto, con un ridotto impatto ambientale. Lo ha confermato di recente anche il progetto tecnico-scientifico realizzato dal Politecnico di Torino su nostro mandato (vedi https://www.flowpack.it, Ndr), e che ha indagato la storia del flowpack e le sue possibili evoluzioni future.
In altri termini, possiamo dire, che è il packaging più “democratico” del mondo.

Noi siamo ciò che abbiamo costruito

Quindi se noi oggi utilizziamo questo tipo di packaging è perché è connaturato alle nostre necessità di consumo, di vita.
L’imballaggio cambia in base al momento storico, e per convincersene è sufficiente guardare ai 10 valori della Carta Etica, molti dei quali indicano la direzione da seguire oggi e domani.
Se si sa cogliere l’evoluzione del contesto in cui viviamo – dei prodotti, della distribuzione, degli stili di vita – si capisce meglio cosa si sta facendo e cosa è necessario fare, e questo vale anche per noi costruttori di macchine.
Oggi, in Italia, abbiamo un servizio di raccolta, selezione e riciclo che funziona, grazie a scelte politiche lungimiranti che hanno dato vita al Sistema Conai, ma anche grazie al fatto che disponiamo di tutte le tecnologie e le competenze necessarie per realizzare un modello di economia circolare efficiente: un esempio di eccellenza che, invece di essere valorizzato a livello europeo, è messo in ombra nel draft della nuova direttiva europea sugli imballaggi.

Un ciclo virtuoso

Una sfida che impone alla catena del valore dialogo e collaborazione. Produttori di materiali, converter, costruttori di macchine automatiche, brand owner, grande distribuzione, player dell’e-commerce… tutti dovrebbero mettere in campo le risorse e le competenze migliori per dare risposta alle attese dei consumatori.
Per noi costruttori di macchine per il confezionamento e l’imballaggio, questo significa fornire tecnologia allo stato dell’arte, ma anche studiare i nuovi materiali per renderli “macchinabili” e raggiungere prestazioni analoghe a quelli attualmente in uso.
La nostra strategia, in azienda, punta quindi a ingegnerizzare soluzioni dedicate e complete per medie e alte velocità, capaci di gestire ogni tipologia di prodotto, con particolare attenzione all’efficienza (saving) e alla sostenibilità (riduzione sfridi e materiali d’incarto, ricorso a materiali ecocompatibili).
Penalizzare l’efficienza delle linee di produzione, aumentare le non conformità dei packaging corrisponde a uno spreco “insostenibile”, da un punto di vista economico per l’azienda e in ultima istanza per i consumatori, oltre che per l’ambiente.
È un problema etico, che non ha nulla a che vedere con la plastica, che rappresenta una soluzione ottimale in un’infinità di applicazioni.

Macchine che funzionano bene, che producono meno scarti sono in grado non solo di garantire al consumatore l’integrità del prodotto – cosa che, altrimenti, in molti casi potrebbe rappresentare anche un pericolo per la sua salute – ma di far risparmiare una ingente quantità di risorse. Stiamo parliamo di milioni di confezioni, anche solo a guardare le linee ad alta efficienza installate da noi in un anno.
Ampliando l’orizzonte, un punto percentuale di scarto in più o in meno può significare, a livello globale, poter pianificare e sostenere l’accesso al nostro modello di consumo da parte di milioni di persone.
Se vogliamo passare a un’economia circolare abbiamo bisogno di macchine sempre più performanti, affidabili e commisurate alle prestazioni, e che non sprechino né materiale da imballaggio né prodotti.
Sta di fatto che il mondo intorno a noi sembra puntare allo sviluppo di un modello di consumo che sembra difficilmente sostenibile nel medio e lungo periodo. Non solo (e sarebbe già sufficiente) per le ricadute in termini di cambiamento climatico, ma in prospettiva anche per la disponibilità di risorse e per l’aggravarsi dell’inquinamento da rifiuti in alcune aree del mondo.
Ci sono popolazioni che vivono letteralmente sommerse da prodotti scadenti e dai loro imballaggi, e che stentano ad avviare serie politiche di recupero e riciclo.

Dall’insofferenza alla virtù

In Cavanna siamo costantemente impegnati a diffondere all’interno del Gruppo la cultura della sicurezza, della tutela dell’ambiente e del territorio.
Riconosciamo l’importanza della responsabilità etica e sociale dell’impresa, e questo fa di noi un’azienda impegnata nel sociale, attenta ai nuovi scenari e pronta a recepirne – a volte anche in anticipo sui tempi – i cambiamenti.
Consapevoli della differenza che passa tra volere e potere, tra approccio etico e buone pratiche, troviamo emblematica la carenze del nostro sistema educativo e formativo, che un po’ tutta l’industria continua a lamentare.
Le pecche che attribuiamo al Pubblico, soprattutto per quanto attiene le scuole tecniche, si possono però almeno in parte emendare mettendo in campo attenzione al presente e visione del futuro (nonché un po’ di soldi).

È quello che stiamo facendo in Confindustria Novara Vercelli Valsesia, dove abbiamo raccolto con un crowdfunding 150.000 euro per finanziare progetti di sviluppo triennali di alcune scuole.
In questo modo abbiamo affiancato le istituzioni indicando i profili professionali di cui abbiamo bisogno e contribuito materialmente a migliorare l’immagine e l’efficacia di un percorso formativo di questo genere.
La cosa più difficile non è stata reperire le risorse, che comunque le aziende destinano già ad attività sociali, ma convincere gli imprenditori che, a prescindere dalla competizione sul mercato, è necessario imparare a lavorare insieme per costruire un futuro per tutti».