[01. Responsabile
È il packaging quando diventa responsabilità di tutti verso tutti: nella progettazione, nella produzione e nell’utilizzo. Responsabili sono gli imballaggi portatori di qualità, che coniugano tutela dell’ambiente e rispetto delle esigenze di tutti gli utenti.
Smart Packaging per la sostenibilità: ripensare gli imballaggi tra innovazione tecnologica e responsabilità etiche

Nel panorama contemporaneo, segnato da trasformazioni sociali profonde, crisi ambientali e innovazioni tecnologiche sempre più accelerate, anche il packaging è chiamato a evolvere. Al centro del dibattito – e delle nuove direttive europee, come il PPWR – c’è l’urgenza di ripensare gli imballaggi in chiave sostenibile, trasparente e responsabile. In questo contesto, lo “Smart Packaging” può costituire una leva strategica per coniugare tecnologia, responsabilità ed evoluzione sistemica.
Viviamo un’epoca in cui l’urgenza del cambiamento pervade scelte progettuali, settori produttivi e gesti quotidiani. In questo scenario, gli imballaggi – spesso ancora ridotti a simbolo di spreco o inquinamento – non possono più essere considerati semplici elementi accessori di cui disfarsi rapidamente: sono, al contrario, un nodo cruciale del sistema delle merci, sia dal punto di vista produttivo che culturale.
Ogni confezione riflette un sistema di valori, più o meno espliciti, e racchiude un potenziale trasformativo da non ignorare. Progettare un packaging oggi significa considerare non solo i requisiti tecnici di protezione e contenimento del prodotto o le esigenze di comunicazione del brand, ma anche valutazioni etiche: dalla sostenibilità dei materiali all’inclusività dell’esperienza utente, dalla trasparenza delle informazioni alla circolarità dei processi. Ripensare il packaging significa quindi interrogarsi non solo su materialità, forme e funzionalità pratiche, ma soprattutto sul tipo di relazioni che può attivare – grazie alle tecnologie – tra persone, organizzazioni, società e ambiente.
È questa la direzione in cui si sta muovendo il cosiddetto “Smart Packaging”: un’evoluzione non solo tecnologica, ma anche socio-culturale, che ci invita a progettare in modo più consapevole e con una visione sistemica. Ma cosa significa davvero “smart” in questo quadro? E quale contributo può offrire a un futuro più sostenibile ed etico?
Secondo la norma ISO 6608-1:2024 , l’espressione “Smart Packaging” si riferisce a un’ampia gamma di soluzioni che integrano tecnologia per offrire funzionalità avanzate, andando oltre il semplice contenimento del prodotto e gli usi tradizionali dell’imballaggio.
Le principali tipologie identificate sono tre. Con “Active Packaging” si intende un imballaggio capace di interagire con l’ambiente interno della confezione per prolungare la conservazione del prodotto, migliorandone qualità e sicurezza: ad esempio, assorbe umidità o rilascia agenti antimicrobici. Un “Intelligent Packaging” integra sensori e indicatori in grado di monitorare parametri ambientali – come temperatura, umidità, presenza di gas o urti – e di fornire informazioni in tempo reale sullo stato del contenuto: ad esempio, sull’interruzione della catena del freddo o su eventuali cadute subite dal pacco. Infine, il “Connected Packaging” sfrutta codici QR, tag RFID, NFC o altri “data carrier” per attivare contenuti digitali, certificazioni, sistemi di tracciabilità e forme di interazione con l’utente. Collega il packaging a piattaforme digitali, abilitando un dialogo tra fisico e virtuale lungo l’intero ciclo di vita del prodotto.
Oltre a queste tre categorie, esistono soluzioni ibride che combinano connettività avanzata, sensoristica e algoritmi predittivi, con l’obiettivo di gestire dati complessi lungo la filiera e supportare nuovi modelli di produzione, consumo e servizio.


Grazie alle tecnologie digitali, l’imballaggio evolve in un dispositivo intelligente e interattivo, capace di monitorare, informare e connettere dinamicamente il prodotto, il consumatore e l’intero ecosistema. Un esempio è FreshSense di Evigence, che impiega sensori e data analysis per monitorare in tempo reale la freschezza degli alimenti, ottimizzando la gestione della filiera e riducendo gli sprechi.
L’integrazione di tecnologie intelligenti all’interno dell’imballaggio può contribuire in modo significativo alla sostenibilità, ma solo se accompagnata da un approccio critico e responsabile.
Va però chiarito che la sostenibilità non riguarda solo la dimensione ambientale. Negli anni ’90, John Elkington coniò l’espressione “Triple Bottom Line” (TBL), un modello che valuta la performance aziendale non solo in termini economici, ma anche rispetto all’impatto sociale e ambientale. Questo approccio, noto anche come quello delle “tre P” – Profitto, Persone, Pianeta – propone una visione integrata della sostenibilità, che coniuga la tutela dell’ambiente e l’equità sociale con la crescita economica.
Un’impresa è dunque davvero sostenibile solo se è in grado di generare valore condiviso su tre dimensioni tra loro interdipendenti: la solidità economica e la capacità di creare valore nel tempo (Profitto), l’equità sociale e il benessere delle comunità (Persone), il rispetto e la rigenerazione dell’ambiente naturale (Pianeta).
A partire da questo modello, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ha ulteriormente ampliato la prospettiva, formulando una visione ancora più articolata basata su “cinque P”: oltre a Persone, Pianeta e Prosperità (in continuità con le 3P originarie), si aggiungono Pace – intesa come promozione di società giuste, inclusive e pacifiche, libere da paura e violenza – e Partnership, ovvero la cooperazione tra governi, imprese, società civile e cittadini per raggiungere insieme gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Tra i benefici ambientali, lo Smart Packaging consente, ad esempio, di ridurre gli sprechi alimentari grazie al monitoraggio della freschezza dei prodotti e al miglioramento della loro conservazione; di ottimizzare trasporti e logistica attraverso la raccolta e l’elaborazione di grandi quantità di dati e il tracciamento in tempo reale; di promuovere una corretta gestione dei rifiuti, fornendo istruzioni digitali ai consumatori – come QR code interattivi collegati ad app o piattaforme informative – oppure facilitando lo smaltimento tramite sistemi automatizzati di identificazione, come le filigrane digitali; infine, di progettare imballaggi più leggeri ed efficienti, riducendo l’over-packaging, agevolando la disassemblabilità dei componenti, facilitando la separazione dei materiali e il loro corretto smaltimento o riutilizzo, e favorendo il riciclo, anche grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale e di algoritmi predittivi.
Dal punto di vista sociale, uno Smart Packaging ben progettato può aumentare l’accessibilità alle informazioni per persone con disabilità visive o cognitive, grazie all’uso di etichette digitalmente potenziate, all’integrazione di messaggi vocali o all’impiego della realtà aumentata; assicurare la trasparenza su provenienza, ingredienti, tracciabilità e impatto ambientale; diffondere campagne di sensibilizzazione su temi di rilevanza sociale e ambientale ed educare il consumatore a scelte più consapevoli, stimolando comportamenti virtuosi anche nel post-consumo.
Infine, sul piano economico, può contribuire a ridurre i costi operativi grazie al monitoraggio predittivo e alla manutenzione data-driven; supportare modelli di business circolari e migliorare la reputazione aziendale attraverso un uso credibile e verificabile delle tecnologie green.


Lo Smart Packaging può rispondere alle esigenze di sostenibilità quando le sue funzionalità avanzate sono progettate per soddisfare bisogni reali, ridurre gli impatti e promuovere comportamenti responsabili. È il caso, ad esempio, delle soluzioni sviluppate da Faller per il settore farmaceutico, che integrano connettività e sensori per migliorare la tracciabilità, l’aderenza terapeutica e la personalizzazione dell’informazione.
Oltre all’integrazione di sensori, indicatori e “data carrier”, lo Smart Packaging si fonda su un insieme di tecnologie complesse ma ormai ampiamente diffuse, note come “Core Technologies”: Internet of Things (IoT), blockchain, intelligenza artificiale e machine learning, cloud computing, 5G, big data e ambienti immersivi. La loro combinazione consente non solo di raccogliere dati, ma anche di interpretarli, restituirli e metterli a valore lungo tutto il ciclo di vita del prodotto.
L’imballaggio viene così arricchito con funzionalità di tracciamento (“tracking & tracing”), anche tramite GPS; protezione da manomissioni o contraffazioni, mediante codici univoci e verificabili; interfacce utente personalizzate, che offrono istruzioni d’uso, contenuti educativi o esperienze immersive (AR/VR); dialogo e profilazione del consumatore, in tempo reale o asincrono, secondo logiche di “reward” o “engagement”. In alcuni casi, queste tecnologie possono anche facilitare pratiche di riutilizzo, abilitare nuovi modelli di servizio o rendere i flussi informativi più trasparenti e distribuiti lungo tutta la filiera. Possono inoltre rafforzare la dimensione narrativa dell’imballaggio, rendendolo un mediatore culturale capace di raccontare in modo comprensibile e coinvolgente la storia, le caratteristiche e gli impatti del prodotto.
Tuttavia, queste stesse funzionalità aprono interrogativi profondi: cosa accade ai dati raccolti dagli imballaggi? In che modo vengono conservati, elaborati, condivisi? Chi ne trae vantaggio e chi rischia di esserne escluso?
È lecito chiedersi se queste tecnologie siano davvero accessibili a tutti, o se generino nuove forme di disuguaglianza, tra chi dispone di strumenti e competenze per interagire con esse e chi ne è tagliato fuori. In un contesto sempre più interconnesso, l’attenzione all’inclusività non è un dettaglio, ma una responsabilità progettuale: significa prevedere diversi livelli di accesso, offrire alternative analogiche e garantire che l’innovazione non diventi un nuovo fattore di esclusione.
Nonostante le promesse, lo Smart Packaging non è privo di rischi e criticità, che è importante riconoscere per evitare derive acritiche o usi opportunistici.
Tra le principali sfide vi sono le difficoltà di riciclo: componenti come sensori, tag o batterie possono ostacolare la separazione dei materiali e aumentare l’impatto ambientale. A ciò si aggiunge il rischio di obsolescenza rapida, poiché l’elettronica integrata può rendere l’imballaggio non riutilizzabile o difficilmente aggiornabile.
Rilevanti anche le implicazioni in termini di accesso e inclusione, soprattutto per i consumatori meno familiari con le tecnologie digitali, e le questioni legate alla privacy, quando il tracciamento dei dati genera forme di controllo o profilazione poco trasparenti.
Vi sono poi i costi elevati, che rendono alcune soluzioni smart poco sostenibili per le PMI o per prodotti a basso margine; e infine il rischio di “greenwashing tecnologico”, quando l’etichetta “smart” viene utilizzata in modo strumentale, senza reali benefici ambientali o sociali.
Affinché il potenziale dello Smart Packaging non venga vanificato da semplificazioni strumentali o logiche speculative, è indispensabile definire linee guida condivise, promuovere standard etici e interoperabili e sviluppare nuove competenze progettuali capaci di integrare design, tecnologia e responsabilità.
È quindi necessario affiancare all’innovazione tecnica un pensiero critico e sistemico, capace di interrogare effetti, implicazioni e limiti delle soluzioni proposte.
Progettare imballaggi intelligenti significa anche saper riconoscere dove e quando fermarsi, quando semplificare anziché aggiungere, quando scegliere la sobrietà al posto della complessità superflua.
Lo Smart Packaging può rappresentare una straordinaria opportunità per costruire una nuova relazione tra prodotto, persone, organizzazioni, società e ambiente. Può diventare una piattaforma di collaborazione e responsabilità condivisa, capace di generare valore non solo economico, ma anche sociale e ambientale. Ma perché questo accada, non basta renderlo più efficiente o coinvolgente: serve progettarlo anche in funzione di valori quali l’equità, la trasparenza e la lungimiranza. Inoltre, l’intelligenza di un imballaggio non risiede solo nei suoi circuiti o algoritmi, ma nella sua capacità di generare consapevolezza, attivare comportamenti e orientare il cambiamento. È qui che si gioca la vera innovazione: nel progettare meglio, con più cura, più ascolto, più senso del limite. In una parola: più etica.
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