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Il riciclo enzimatico rappresenta una delle innovazioni più promettenti nel campo della gestione sostenibile dei rifiuti plastici, in particolare per il settore del packaging. Questa tecnologia sfrutta enzimi specifici, cioè catalizzatori biologici, capaci di scomporre le plastiche – come il PET, ampiamente utilizzato per bottiglie e imballaggi – nei loro monomeri originari, come acido tereftalico e glicole etilenico.

A differenza dei metodi tradizionali, il riciclo enzimatico permette di ottenere materiali riciclati di qualità pari a quella della plastica vergine, anche partendo da rifiuti plastici colorati o complessi, e consente di reinserirli in un ciclo produttivo realmente circolare. Recenti progressi scientifici e industriali, guidati da aziende come Carbios e grandi marchi del settore, hanno portato alla produzione delle prime bottiglie in PET riciclato enzimaticamente, dimostrando la fattibilità e la rapidità del processo: fino al 97% della plastica può essere decomposta in sole 16 ore, con un’efficienza nettamente superiore a quella dei sistemi di riciclo organico tradizionali.

Oltre a ridurre il consumo energetico rispetto al riciclo termico, questa tecnologia offre una soluzione concreta per il recupero di risorse preziose e la riduzione dell’inquinamento da plastica, ponendosi come elemento chiave verso un packaging più sostenibile e una vera economia circolare. Nel caso di polimeri più facilmente degradabili come il PET, questi enzimi sono stati già ottimizzati e industrializzati, mentre per le poliolefine la ricerca è ancora in corso per identificare enzimi efficaci, data la loro struttura chimica più resistente.

Gli enzimi attaccano le catene polimeriche, spezzandole in molecole più semplici (monomeri o oligomeri). Questo processo, chiamato depolimerizzazione, consente di ottenere i costituenti di base della plastica, che possono essere purificati e riutilizzati per produrre nuovi materiali. I monomeri ottenuti vengono separati dal resto del materiale e purificati. Questi possono essere successivamente utilizzati per sintetizzare nuove poliolefine o altri prodotti chimici, garantendo così una vera chiusura del ciclo e la possibilità di ottenere materiali con qualità pari al vergine. I principali vantaggi del riciclo enzimatico sono qui rappresentati:
– Il processo avviene generalmente a temperature più basse rispetto al riciclo termico, con minori consumi energetici e ridotte emissioni di gas serra.
– Permette di trattare anche plastiche miste, colorate o contaminate, che risultano difficili da riciclare con i metodi meccanici tradizionali.
– Il riciclo enzimatico evita la perdita di prestazioni tipica del riciclo meccanico, consentendo di ottenere materiali idonei anche per applicazioni alimentari

Il riciclo enzimatico del PET è molto più avanzato rispetto a quello delle poliolefine. Negli ultimi anni, la ricerca sul PET ha fatto passi da gigante grazie alla scoperta di enzimi naturali come quelli prodotti dal batterio Ideonella sakaiensis, capaci di depolimerizzare il PET in tempi rapidi e con alta efficienza. Oggi esistono processi industriali dimostrativi: ad esempio, la tecnologia C-Zyme di Carbios è già in grado di riciclare PET post-consumo su scala di tonnellate, producendo nuove bottiglie di qualità pari al materiale vergine. L’efficienza raggiunta consente di scomporre fino al 98% della plastica PET in 48 ore, e la ricerca continua a ottimizzare enzimi e processi, anche grazie all’uso di intelligenza artificiale e biologia sintetica.

In questo numero:

 

Depolimerizzazione chemo-enzimatica di polietilene funzionalizzato a basso peso molecolare.
Il polietilene (PE) è il tipo di plastica più utilizzato al mondo e contribuisce in modo significativo alla crisi dei rifiuti plastici. La degradazione microbica del PE negli ambienti naturali è improbabile, a causa della sua struttura chimica costituita da legami carbonio-carbonio saturi e inerti, difficili da rompere per gli enzimi. Questo rende complessa l’elaborazione di un metodo di riciclo biocatalitico per i rifiuti di PE. In questo studio, abbiamo dimostrato la depolimerizzazione del PE a basso peso molecolare (LMW-PE) utilizzando una cascata enzimatica composta da catalasi-perossidasi, alcol deidrogenasi, monoossigenasi di Baeyer-Villiger e lipasi, successivamente a un pretrattamento chimico del polimero con acido m-cloroperossibenzoico (mCPBA) e ultrasuoni. In un esperimento preparativo condotto su scala grammo con polimeri pretrattati, le analisi GC-MS e la determinazione della perdita di peso hanno confermato una conversione del polimero di circa il 27%, con formazione di molecole funzionalizzate di media dimensione come acidi ω-idrossicarbossilici e acidi α,ω-carbossilici.  Ulteriori analisi condotte su nanoparticelle di LMW-PE con microscopia AFM hanno mostrato che la depolimerizzazione enzimatica ha ridotto la dimensione delle particelle trattate con mCPBA e enzimi. Questo concetto catalitico multi-enzimatico, che integra passaggi chimici distinti, rappresenta un punto di partenza innovativo per lo sviluppo futuro di metodi di riciclo bio-based dei rifiuti di poliolefine.

 

 https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/anie.202415012

 

 

 

Progettazione di poliesteri simili al polietilene degradabili in ambiente naturale e riciclabili in modo ecocompatibile tramite enzimi commerciali.
I poliesteri simili al polietilene (PE-like) rappresentano una potenziale alternativa ai materiali in polietilene più comunemente prodotti, ma presentano tassi di degradazione limitati e un percorso di riciclo chimico poco sostenibile dal punto di vista ambientale. Tuttavia, il riciclo enzimatico “green”, che permette di recuperare il monomero di partenza, è spesso ostacolato dalla struttura cristallina dei materiali e dalla limitata attività idrolitica degli enzimi. In questo studio, è stato selezionato un diacido pirrolidone di origine bio-based come nucleo centrale per favorire sia l’idrolisi accelerata che il legame tra substrato ed enzima nella progettazione dei copoliesteri PBTDP. I copolimeri PBTDP ottenuti hanno mostrato un’elevata cristallinità e una rapida cristallizzazione, paragonabili a quelle dell’HDPE commerciale. Hanno inoltre dimostrato una notevole resistenza meccanica, con un’allungamento superiore al 1000%. Inoltre, questi copolimeri sono stati in grado di idrolizzarsi in ambiente acquoso a 37 °C, degradandosi rapidamente in presenza dell’enzima commerciale Candida antarctica lipasi B nel giro di 10 giorni. Il ruolo delle unità pirrolidone come siti idrofili e il meccanismo idrolitico sono stati ulteriormente chiariti mediante analisi della funzione di Fukui e calcoli di teoria del funzionale della densità (DFT). Le simulazioni di dinamica molecolare (MD) hanno mostrato che le unità pirrolidone partecipano a interazioni non covalenti con l’enzima, aumentando la presenza di conformazioni pre-reazione favorevoli all’attacco nucleofilo. In particolare, la degradazione enzimatica rapida del copolimero PBTDP20 ha permesso di recuperare oltre il 92% dell’acido 1,14-tetradecanedioico riutilizzabile in condizioni miti, realizzando così un vero riciclo a ciclo chiuso dei copoliesteri. Nel complesso, le prestazioni avanzate, la degradabilità ambientale e la reale riciclabilità enzimatica rendono i copolimeri PBTDP una promettente alternativa sostenibile ai materiali simili al polietilene.

 

https://pubs.rsc.org/en/content/articlelanding/2025/gc/d4gc06604a

 

 

 

Valutazione del ciclo di vita del riciclo enzimatico del polietilene tereftalato (PET).
L’idrolisi enzimatica del polietilene tereftalato (PET) è un metodo di riciclo chimico pensato per promuovere un’economia circolare dei poliesteri. Per confrontare quantitativamente questa tecnologia con altri approcci di riciclo e sintesi del PET, è fondamentale condurre analisi di processo rigorose e trasparenti. Abbiamo recentemente sviluppato un modello di processo dettagliato utilizzato per analizzare gli aspetti economici, energetici e le emissioni di gas serra del riciclo enzimatico del PET. In questo studio, ampliamo il lavoro precedente realizzando una valutazione del ciclo di vita (LCA) basata sul processo dello stesso sistema di idrolisi enzimatica, finalizzato alla produzione di acido tereftalico (TPA) e glicole etilenico (EG), da riutilizzare in un sistema di riciclo del PET a ciclo chiuso. L’analisi LCA evidenzia che, allo stato attuale, l’idrolisi enzimatica ha performance peggiori da 1,2 a 17 volte rispetto alla produzione di TPA e PET vergini in quasi tutte le categorie d’impatto ambientale, ad eccezione dell’ecotossicità e dell’esaurimento delle fonti fossili. I principali fattori che contribuiscono a questi impatti sono la raccolta e il trattamento del PET post-consumo, l’utilizzo di idrossido di sodio e il consumo di elettricità. L’analisi di sensitività mostra che, migliorando le rese lungo il processo di riciclo ed eliminando alcuni passaggi (come il pretrattamento di amorfizzazione e il controllo del pH di reazione), si può ridurre l’impatto ambientale complessivo del riciclo enzimatico del PET fino a renderlo statisticamente equivalente alla produzione di TPA e PET vergini, evidenziando così aree chiave per ulteriori ricerche e innovazioni.

Nanotubi di alloisite trattati in ambiente alcalino (aHal) sono stati introdotti in una matrice di poli(butilene succinato) (PBS) tramite tecniche di miscelazione a caldo e colata da solvente per migliorarne le proprietà funzionali. I film ottenuti sono stati caratterizzati in termini morfologici, termici, meccanici, antibatterici, di barriera e di assorbimento dell’etilene, per l’uso nel confezionamento di alimenti freschi. Le proprietà di assorbimento dell’etilene sono state attribuite all’aumento del diametro del lume dei nanotubi aHal. Le prestazioni migliori si sono ottenute con una concentrazione del 5% in peso di aHal (5-aHal) per entrambi i metodi di produzione. In contenitori ermetici, la quantità di etilene si è ridotta dell’80% e del 75% rispettivamente con i film estrusi e colati da solvente. I film PBS/aHal presentano proprietà meccaniche comparabili ad altri materiali raccomandati per il packaging alimentare, ma quelli ottenuti per estrusione si sono dimostrati più flessibili e resistenti. Inoltre, i film estrusi hanno offerto una barriera al vapore acqueo più efficace. Un test di confezionamento su fette di pomodori e mele conservate a temperatura ambiente per 7 giorni ha mostrato che i film 5-aHal sono i più efficaci nel prolungare la conservazione dei frutti. Considerati tutti i risultati, i film ottenuti con miscelazione a caldo offrono prestazioni superiori. I film PBS/aHal di origine biologica dimostrano così un notevole potenziale nel migliorare la sicurezza alimentare, fungendo da materiali di imballaggio attivi ed ecocompatibili.

 

https://pubs.rsc.org/en/content/articlehtml/2022/gc/d2gc02162

 

 

 

Riciclo enzimatico e upcycling microbico per una bioeconomia circolare della plastica.
A partire dagli anni ’50, la plastica è diventata un materiale di uso comune, presente in praticamente ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Tuttavia, l’attuale modello economico che regola la produzione e l’uso della plastica è fondamentalmente lineare: meno del 10% dei materiali plastici viene effettivamente reimmesso nella catena del valore al termine del proprio ciclo di vita. Negli ultimi anni, si sono moltiplicati gli sforzi per sviluppare nuove tecnologie in grado di trasformare questo modello in un’economia circolare della plastica. Tra queste, il riciclo enzimatico e l’upcycling biologico verso prodotti ad alto valore aggiunto rappresentano approcci promettenti. In questo articolo vengono passati in rassegna i più recenti progressi in questo campo in rapida evoluzione, e si discute di come lo sviluppo ulteriore di queste tecnologie possa contribuire a ridurre la quota di rifiuti plastici post-consumo destinati alla discarica o all’incenerimento.

 

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0958166925000515